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Itinerario n. 3
Lungo il fiume la storia e l'avventura
(S.
Antimo - S. Pio Loreto - Ripa - Bagno Vignoni)
livello max. m. 409 - livello min. m. 196
Questo
percorso non presenta difficoltà nella prima parte, mentre nella
seconda assume un carattere quasi escursionistico, nel senso che
scompare la strada e si cammina per lunghi tratti nel letto del
fiume, fra sassi di grandi proporzioni e passaggi stretti e disagevoli
Ovviamente si sconsiglia di fare
quest'itinerario nella stagione in cui piove molto, a meno che non
siate camminatori molto esperti. Il tratto, anche se non è molto
lungo, è abbastanza faticoso, presenta scorci panoramici molto interessanti
e validi centri d'interesse.
Utili i cannocchiali e la macchina fotografica per gli appassionati.
L'elemento dominante di quest'itinerario è il fiume. L'Orcia in
particolare, ma anche l'Asso che, in questa zona, confluisce nel
primo. L'Orcia è un fiume con spiccate caratteristiche torrentizie.
Nasce sotto il monte Cetona prossimo all'Abbazia di Spineta e subito
dopo, seguendo una linea sinuosa sul fondovalle, scende verso il
bacino dell'Ombrone.
Passando per Radiocofani arriva a Bagno Vignoni, dove inizia un
tratto tormentato, compresso fra pareti di roccia e macchia impenetrabile
su cui, dall'alto, dominano le rocche di Tentennano e della Ripa.
Il paesaggio si riapre come d'improvviso a Pian di Meta, dove il
letto del fiume dilaga verso la Stazione Amiata, sotto la Velona,
alta sulla collina, e, costeggiando Castelnuovo dell'Abate, corre
verso I'Ombrone a Monte Antico.
L'Orcia con la sua valle ha sempre animato un paesaggio di frontiera,
una linea segnata dalle sue acque silenziose, una barriera naturale
fra le ultime propaggini della terra senese e l'alta Maremma con
l'amiatino, antichi appannaggi di feudalità laiche e religiose protrattesi
fin oltre la loro stagione.
Il nome, col quale Ludovico il Pio indicava questo corso d'acqua
nel 'privilegio' emesso a favore dell'Abbazia di S. Antimo, è "Vadus
Ursus". Altri, nei secoli andati, lo chiamavano Urcia. Pare che
si chiamasse così una famiglia romana che comandava qui e che aveva
vasti possessi. Ma sono notizie vaghe.
La Val d'Orcia nel suo insieme appare come I'ultimo residuo,
sotto il profilo geologico, di un golfo ampio e remoto scomparso
tanto tempo fa lasciando ostriche e columelle fossili adagiate sulla
creta e sul tufo.
La strada che stiamo per incominciare corrisponde per lunghi tratti
a quella che, in origine, collegava per la via più diretta la Francigena
con l'Abbazia di S. Antimo.
Il percorso è abbastanza tormentato e finisce per immettersi a Bagno
Vignoni su di un tratto dell'antica 'romea', che i pellegrini prima
ed i viaggiatori poi, hanno spesso ricordato nei loro diari di viaggio.
S. Quirico, Spedaletto, La Scala, Le Briccole e molti altri piccoli
centri hanno ospitato per secoli coloro che, per diverse ragioni,
andavano a Roma e di questi luoghi sono rimasti nella memoria e
nell'immaginario di coloro che transitavano, ricordi ora dolci ora
cupi.
Ai papi e agli imperatori in transito abbiamo accennato nella scheda,
ma anche i viaggiatori moderni erano molto stupiti, ammi rati, impauriti
da un paesaggio che, visto attraverso i disagi immani legati alla
strada, (le buche improvvise, gli incidenti, il freddo, i pedaggi)
appariva più spesso minaccioso che dolce.
Michel Montaigne ricorda il passaggio del fiume 'Urcia' ed il fastidioso
bagno fuori stagione fatto in uno dei suoi affluenti a causa del
ribaltamento del mezzo, fra le liti e le discussioni accese con
i vetturini.
Joseph Addison annotava invece da queste parti una 'vista nuda e
selvaggia di rocce brulle, colline scavate da ogni parte da canaloni
e rigagnoli'.
Charles de Brosses osserva un'inquietante val d'Orcia animata "non
da montagne ma da veri scheletri e cimiteri di roccia coperti di
resti di colline carbonizzate senza un filo di vegetazione" e anche
lui se la prende con questa maledetta strada: "non è degno dei sovrani
lasciare le strade in tal stato; ma la cosa singolare è che, ad
ogni posta cui, pesti per le botte, arrivavamo, dovevamo pagare
un pedaggio con cui risarcire in futuro eventuale danno!".
Gli scrittori inglesi A. Butler e W. Beckford, che definiscono la
valle "frontiera toscana", la giudicano un vero e proprio luogo
"abbandonato dalla natura". Solo la scrittrice M. Starke appare
incantata dalla collina sanquirichese, finalmente definita "ariosa
e salubre fra le vigne e uliveti" e ci parla persino di due locande
"passabili" dai nomi roboanti: l'Albergo della Grande Europa e il
Cavallo Inglese.
E meno male, poiché la 'posta' successiva, quella della Scala (il
cui edificio è visibile ancora oggi poco prima della frazione di
Gallina, sulla destra) non apparve molto accogliente a W. Hazlit,
che ovunque intorno vedeva "covi cadenti di briganti" e sulle colline
vicine "qualche drago vecchio e cieco che ancora insegue la preda
perduta nel tempo e che condivide la desolazione che ha contribuito
a creare". "Ce n'è un paio -scrive - vicino all'Osteria della Scala
che si levano in solitario orrore dal medesimo punto su due colline,
l'uno di fronte all'altro, divisi soltanto da un ruscello, capaci
di irridere ogni descrizione e richiedere i tocchi più arditi dell'artista".
Si riferiva probabilmente alle colline della Rocca d'Orcia e di
Vignoni, che, viste da lì, quasi si fronteggiano dalle rive opposte
dell'Orcia.
C. Dickens si limitava invece a paragonare la Val d'Orcia alla Cornovaglia
nella sua fisionomia di 'campagna sterile e pietrosa e selvaggia'.
Ma prima di lasciare la zona di S. Antimo e di prendere la strada
che porta a Bagno Vignoni seguendo l'Orcia, si consiglia di compiere
una breve disgressione verso il castello della Velona, che sorge
a circa un chilometro in direzione Stazione Monte Amiata.
Dalla strada asfaltata, sulla destra, si apre una strada poderale
fra i lecci che, risalendo dolcemente la collina, conduce direttamente
al castello.
L' edificio è in condizioni molto precarie, ma sorge in una posizione
magnifica, di grande valore paesaggistico e, anticamente strategico.
Il luogo era ben conosciuto anche dai popoli antichi, visto che
in questi paraggi sono venuti alla luce importanti reperti di origine
etrusca visibili oggi nel museo di Montalcino.
Luogo militarmente imprendibile fu molto presto requisito dalle
truppe senesi, che lo trasformarono in avamposto di confine a partire
dagli inizi del duecento.
Nei secoli successivi il castello fu conteso dai fiorentini che
riuscirono, dopo vari tentativi, ad impossessarsene per circa un
biennio.
L'edificio è attualmente molto rimaneggiato. Trasformato nei secoli
più recenti in villa è stato abitato fino a qualche decennio fa.
Il completo abbandono ne ha accelerato in poco tempo la rovina.
Nel cortile, su cui si apre l'ingresso, esisteva una cisterna, mentre
di lato, all'interno, esiste ancora la cappella e qualche elemento
dell'appartamento padronale.
Il paesaggio che si abbraccia dal balcone consente una vasta ricognizione
visiva: si vede infatti ad est il castello della Ripa, la Rocca
d'Orcia e di Castiglione. Il fiume che passa sotto scorre luccicando
verso 1'Ombrone.
Tornati al bivio di Castelnuovo dell'Abate, di fronte all'Osteria
Bassomondo, si prende la strada poderale che si apre di lato, sulla
sinistra.
E’ una carrabile che sale fra i cipressi verso la sommità della
collina, lasciando sulla destra la piccola cappella di S. Francesco.
In basso, sulla sinistra, si vede ancora 1'Abbazia di S. Antimo,
il Poggio d'Arna e il Poggio Castellare, più vicino la strada che
sale a Montalcino.
Un po' più in alto la strada diviene pianeggiante e costeggia un
oliveto grande e luminoso. Si passa vicino al podere S. Giorgio
e poi al podere Fornace. Sono case coloniche costruite col galestro
scuro del luogo, che hanno la caratteristica struttura della casa
d'alta collina: dimensione piccola, forma accentrata, poche aperture
in difesa del freddo e dell'umidità.
Proseguendo ancora il paesaggio si fa sempre più aperto e selvaggio
e dalle coltivazioni a frumento si passa piano piano alla macchia,
che si infittisce sulla collina, su cui scorre la strada in modo
tormentato. Sulla collina ultima, prima della discesa, si incontra,
sulla destra, la mole tozza del podere S. Pio-Loreto, due case coloniche
che formano un agglomerato molto bello sui resti del castello di
Oreto, che già nel 1208 era inserito nel sistema difensivo della
Repubblica senese. Si dice che in questa fortificazione furono concentrate
al tempo dell'assedio ispano-mediceo, tutte le 'bocche inutili'
della città montalcinese, nel tentativo di rendere la difesa più
duratura e compatta.
Qui la strada prende a scendere sul crinale in modo piuttosto deciso.
Più avanti si incontra il podere Casalta, sulla sinistra, quindi
la strada si inclina fortemente passando sopra la galleria della
ferrovia e girando improvvisamente a destra scende pratica- mente
al livello del greto dell'Orcia. Sulla sinistra, fra le piante e
la macchia, scorre 1'ultimo tratto dell'Asso, che proprio in questo
punto confluisce, per mezzo di un piccolo estuario fluviale, nell'Orcia,
formando un discreto 'pelago'.
Passato l'Asso si deve incominciare a risalire la riva dell'Orcia
verso il castello della Ripa, che si nota chiaramente in alto a
sinistra a precipizio sul fiume. Dopo il borro iniziale, troverete
che il letto del fiume diviene abbastanza ampio e sassoso, chiuso
come in una gola che diviene sempre più stretta.
E' sul greto che bisogna camminare, spostandosi fra i macigni e
i salici, evitando il corsoio e gli accumuli fangosi di terra. Il
tratto è piuttosto impegnativo ma anche molto bello e interessante
dal punto di vista naturalistico. Qui vivono ancora molti animali
selvatici e nel corso del fiume si incontra perfino qualche stridulo
tallurino. Quest'uccello è divenuto da noi piuttosto raro, ma un
tempo era 1'abitatore indisturbato dell'Orcia. Per anni è stato
cacciato con vere e proprie battute, ma molto peggio hanno fatto,
in questo caso, le cave di inerti sorte lungo e dentro il fiume.
E' interessante leggere come un viaggiatore senese ci parla di queste
battute di caccia (F. Bargagli-Petrucci. Pienza, Montalcino e la
Val d'Orcia). "I tallurini sono uccelli corridori che vivono a branchi
nella solitudine dell'Orcia e che non sanno distaccarsi dal suo
affascinante e strano corso. I cacciatori debbono organizzare una
vera manovra per abbatterli.
Una squadra di fucilieri sbarra il torrente nascondendosi fra i
sassi ed i cespugli degli isolotti, mentre uno storno di cavalieri
batte isole e sponde movendo da lungi e procedendo verso l'agguato.
Per un pezzo nulla si vede poiché i poveri animali assaliti corrono
avanti ai cavalieri tenendosi nascosti entro le sponde, finche giunti
dinanzi ai fucilieri, per non lasciare le amiche acque, si alzano
a volo urlando e bestemmiando un rabbioso 'per io' e mentre passando
serrati e veloci sulla testa dei cacciatori per riprendere più innanzi
il fiume inseparabile, ricevono, ohime, la scarica a salve... ".
Sotto il castello della Ripa, che si noterà sicuramente, prima che
le sponde del fiume divengano pareti quasi inabbordabili, sulla
sinistra, si trova una strada poderale incassata fra la macchia
che risale la collina. E' la strada che porta al castello e che
bisogna percorrere per continuare l'itinerario.
Se coloro che compiono questa escursione sono esperti arrampicatori
e desiderano esercitarsi su notevoli difficoltà, possono scegliere
di non compiere la salita verso il castello e la successiva discesa
alle Mulina, ma di proseguire nel letto del fiume senza lasciarlo
mai fino a questo posto citato.
Il tratto non è più lungo di un chilometro, e tormentatissimo, prevede
arrampicate sui macigni e fra la macchia foltissima; è sicuramente
molto pericoloso per chi non è abituato a questo tipo di escursioni,
sono indispensabili scarponi e, volendo, anche qualche corda. In
compenso la spettacolarità del paesaggio, la sua inaccessibilità
e la sua asprezza mantiene e garantisce un gran fascino che ripagherà
la fatica.
Prendendo invece la strada indicata poc'anzi si percorrerà un tratto
abbastanza lungo in salita, in gran parte fra i lecci, fino a quando
si arriverà ad una strada che interseca longitudinalmente la vostra,
salendo sulla sinistra verso una piccola chiesa.
E' da qui che si giunge al castello, cui vale la pena dare un'occhiata
camminando, dove è possibile, sotto le mura perimetrali. Il lato
che guarda verso sud è particolarmente affascinante in quanto si
affaccia sullo strapiombo sovrastante il fiume, offrendo uno spettacolo
raro dalle nostre parti.
Seguendo il lato che guarda il nord si ottiene invece il risultato
di riuscire a dominare e rivedere gran parte del tratto compiuto
a piedi, sovrastato da uno scorcio panoramico vastissimo sui boschi
e sulle colline prossime all'Orcia. Il castello della Ripa apparteneva
nel '300 alla famiglia Salimbeni, feudatari molto potenti che egemonizzavano
tutto il territorio circostante. Soltanto nel '400 il comune senese
riuscì ad imporre le proprie ragioni ai Salimbeni in questa zona.
Il castello in particolare appartenne successivamente all'Ospedale
senese e successivamente alla famiglia Piccolomini.
Dal castello si prende a camminare sulla strada che va in direzione
nord-est risalendo la collina opposta. Dopo circa quattrocento metri,
sulla destra, si prende la strada che inizia a scendere stretta
tra una fontanella ed una radura di cipressi.
Poco dopo si incontra un piccolo cimitero sulla sinistra e avanti
ancora si entra nella macchia formata da lecci, quercioli e scopi.
Si scende decisamente, seguendo la forte inclinazione della strada,
verso I'Orcia. La strada era, un tempo, di notevole importanza e
collegava stabilmente la Ripa con Rocca e Castiglione d'Orcia. Ciò
lo si può capire una volta giunti al livello del fiume, dove i resti
di un ponte di notevoli dimensioni giacciono rovesciati sul greto
ed una vecchia 'passerella' sta ancora sospesa fra le due rive.
Il ponte fu portato via dalla piena del 1929, anno in cui un inverno
terribile produsse da queste parti tanti disastri. Il fiume diviene
in questo punto molto bello ed il paesaggio acquista interesse e
movimento. Dalla parte opposta sorge un vecchio mulino (per questo
la zona si chiama Le Mulina) di cui si possono ancora vedere, al
piano terra, le macine e parte dell'antico impianto.
Da qui, seguendo la riva sinistra del fiume, si percorrono circa
quattocento metri nel letto ciottoloso, poi, nel bosco che inizia
sulla sinistra, si cerca un sentiero che allargandosi sempre più,
procede verso Bagno Vignoni. Ad un certo punto si incontra un impianto
abbandonato di artigianato del travertino; si procede ancora seguendo
la strada ormai larga e battuta. Giunti sotto la cascata (una balza
che degrada dal paese) si può salire direttamente seguendo sulla
sinistra il sentiero che si arrampica fino in cima, lasciando intravedere,
lungo il percorso, aperture di un vecchio mulino ricavato nella
roccia sotto la ripida scarpata. Si arriva cosi direttamente nel
piccolo centro termale.
Se si ritenesse 1'arrampicata troppo ripida, si può proseguire la
strada fino all'asfalto che, girando a sinistra, arriva in paese.
Bagno Vignoni è un piccolo centro termale molto interessante, sorto
intorno alla bellissima vasca medioevale.
Le acque di Bagno Vignoni erano conosciute ed apprezzate anche dagli
etruschi e soprattutto dai romani. Anche Lorenzo il Magnifico e
S. Caterina da Siena le apprezzavano per la loro virtù terapeutica.
Davanti a Bagno Vignoni si apre la conca d'acqua dolce e luminosa
dell'alta Val d'Orcia, un'altra vasta zona degna di essere visitata
e conosciuta passo passo. |
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