IL
ROMITORIO DI PIENZA
ed
altri antichi luoghi di culto
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IL
ROMITORIO DI PIENZA
"Singolare
resedio ... ricoperto di vecchia edera e circondato da annose
querci, caratteristico anche per quella sua viuzza a scalette
stretta e angusta, per la quale vi si accede..." Così il Mannucci
nel suo libro - Pienza, Arte e Storia. Ma già il vescovo Francesco
Maria Piccolomini non mancava di citarlo con manifesta ammirazione
nella cronaca della sua visita pastorale fatta il 20 settembre
1744: "Il predetto antico Romitorio è meraviglioso nella sua struttura,
per essere tutto colla chiesa, colla saletta e più stanze scavate
in un sol masso a forza di scalpello". Di questa singolare struttura
rupestre, scavata nel banco di arenaria sottostante alla chiesa
di S.Caterina, ci sono pervenute solo poche e frammentarie notizie.
Con certezza si sa che fu per diversi secoli un luogo prescelto
per la vita eremitica da religiosi dediti alla penitenza ed alla
preghiera. Il documento più antico risale al 1344 ed è costituito
da una lapide sepolcrale sulla quale si legge questa iscrizione
incisa in caratteri medievali: "AN. D. MCCCXXXXIV - Voi che venite
prendete a mente a me che giaccio nel monimento, tal fui come
voi siete, tal so come voi sarete, dite un Pater Noster per l'anima
di Fr. Luca". Di altri pochi romiti si hanno notizie riportate
in documenti dell'Archivio Diocesano di Pienza e nelle memorie
di Vincenzo Vannucci, cronista pientino. Così troviamo che nel
1576 vi dimorava come romito, Francesco Neri da Sarteano che aveva
in custodia una piccola cappella situata sull'altipiano sopra
il Romitorio, dove si trovava un'immagine della Madonna molto
venerata dalla popolazione locale. Successivamente troviamo un
Padre Placido, monaco olivetano. "Nel 1609 - si legge nella cronaca
di Vincenzo Vannucci - si mise dal rettore e santesi per servitù
di S. Caterina un romito Veneziano, come esso affermava di patria
Trevisano che in breve con scusa di andare in montagna per servizio
del luogo, attaccò l'asino, ne' più si vide". I documenti ci riportano
le notizie solo di altri due romiti: uno, Fra' Giovanni Ballarini
da Contignano, a cui fu concessa facoltà di dimorare nel Romitorio
dal vescovo Francesco Maria Piccolomini il 18 ottobre 1753, e
l'altro, Fra' Giovanni Domenico Colucci da Monticiano, cui fu
concessa la "patente di Romito" il 23 febbraio 1768. Con buona
probabilità questi fu l'ultimo romito che visse nel nostro Romitorio.
Intanto, da oltre un secolo, era stata eretta sull'altipiano,
intorno all'edicola dell'immagine affrescata della Madonna, la
chiesa di S.Caterina, divenuta in breve un piccolo santuario mariano
locale. Ma presso il Romitorio continuò anche un altro culto parallelo:
quello della "Madonna del Latte", rivolto verso una rozza immagine
della vergine che allatta il figlio, scolpita nella roccia sulla
parete di fondo di una cappellina posta alla fine della prima
rampa delle scale di accesso. Sopra un piccolo altare le puerpere
del luogo facevano accendere candele votive per ottenere abbondanza
di latte materno per i neonati. Questa usanza, che si è protratta
quasi fino ai nostri giorni, è, con tutta probabilità, il retaggio
di un culto per la maternità che risale all'epoca precristiana,
già praticato nello stesso luogo o nelle immediate vicinanze.
Sembrerebbe confermarlo un oggetto votivo di epoca romana, a forma
di mammella stilizzata, rinvenuto agli inizi degli anni '60 nei
pressi della vecchia cava di pietra arenaria, vicinissima al Romitorio.
Anche i vani che formano il complesso del Romitorio potrebbero
esser l'adattamento medioevale di strutture rupestri preesistenti.
Ed anche in questo caso il suggerimento ci viene dai ritrovamenti
archeologici fatti nei campi immediatamente sottostanti, e consistenti
in numerosi frammenti di vasi di epoca etrusco-romana. Così come
altro tipo di reperti ci attesta la frequentazione del luogo in
epoca preistorica. Nelle strutture del Romitorio, così come sono
giunte a noi, non è evidente tuttavia nessuna traccia anteriore
al medioevo, mentre vari ed abbondanti sono i resti di sculture
e anche di qualche affresco, tutti di difficile datazione, rimasti
sulle pareti di alcuni ambienti. Nel vano contiguo alla chiesa
si trova il maggior numero di sculture, quasi tutte ad altorilievo.
Tra esse si notano la statua di un frate, una testa di Cristo,
una sirena bicaudata simile a quella scolpita sull'architrave
della vicina Pieve di Corsignano. Ma il gruppo che più colpisce
è rappresentato dai resti di quattro figure quasi a tutto tondo,
di cui almeno due femminili, avvolte in lunghe vesti, che dovevano
affiancare, come si legge nel Mannucci, un Cristo alla colonna,
ormai del tutto scomparso. La lama di luce che, entrando da una
delle finestrelle, le sfiora nelle ore centrali del giorno, mette
in risalto i profili e le pieghe delle vesti, creando un'atmosfera
da sepolcro orientale. Ma tutto l'ambiente, con i suoi giochi
di luci e di ombre, con i suoi angoli colmi di mistero, suggestiona
ed avvince il visitatore, dandogli la sensazione di trovarsi in
un luogo profondamente permeato di sacro. Fino a qualche anno
fa il Romitorio, adibito ad un uso improprio e riempito di buona
parte di rifiuti, non era più visitabile, ma dal 1996, grazie
alla ripulitura e al ripristino fatti dalla famiglia Moricciani,
è stato restituito alla godibilità dei pientini e dei numerosi
turisti.
ALBERTO
DONDOLI
GROTTA
DEL SANTO a S. FILIPPO
A
poche centinaia di metri dal centro abitato di Bagni S.Filippo
, sulle pendici nord dell'Amiata nel territorio del Comune di
Castiglione d'Orcia, è situata la suggestiva "Grotta del Santo"
abitata da S.Filippo Benizi alla fine del '200. Secondo i biografi
del Santo, l'allora cardinale fiorentino, per eludere il conclave
di Viterbo del 1267 che tentava di eleggerlo papa, trovò rifugio
in questa grotta naturale, formatasi tra le fessure di grossi
blocchi di travertino. Vi rimase nascosto sino a conclave concluso
nel quale fu eletto pontefice Gregorio X. Negli anni successivi
vi si trasferirono in meditazione altri padri dell'ordine dei
Serviti che, intorno al XV sec., non lontano dalla grotta, costruirono
una chiesa detta della "Madonna del Pietreto" cui poi fu annesso
un convento. Entrambi furono più volte restaurati ed erano ancora
esistenti nella seconda metà del '700. Oggi sono presenti solo
alcuni ruderi di un podere e resti di antiche muraglie ma non
è possibile individuare con sicurezza ciò che rimane della chiesa
e del convento . Nell'antico romitorio, che risale pertanto all'epoca
longobarda, si ritirò nel 1402 anche un altro fiorentino: il Beato
Benincasa che vi trascorse però solo pochi mesi: la fama del nuovo
asceta si sparse rapidamente e il luogo, già meta di visitatori,
non fu più l'oasi di pace che l'eremita andava cercando. Benincasa
si trasferì in un luogo ancora più imperivo, nelle vicinanze di
Monticchiello, detto da allora "Grotta del Beato" . La cavità
di S.Filippo è stata trasformata in cappella ed è tutt'oggi oggetto
di culto da parte delle comunità locali che vi lasciano piccoli
ex-voto e ne curano gli allestimenti. All'interno, illuminato,
è visibile un altare con busto di gesso di S.Filippo Benizi e,
dentro un tabernacolo in vetro, un crocifisso di legno e un contorno
di sepoltura incavato nel suolo. Opere, queste ultime, attribuite
dalla tradizione popolare al Santo.
U.B.
LA
BUCA DEL BEATO
Lungo
la valle della Tresa, appena sotto alla boscosa collina di Monticchiello,
è situata la "Buca del Beato" tra scoscese pareti rocciose, nascosta
da una fitta macchia di querce e di lecci. Le profonde e buie
caverne naturali, formatesi nelle spaccature di rocce calcaree,
ospitarono intorno al 1400, per più di venti anni, il Beato Giovanni
Benincasa, eremita e taumaturgo venerato in vita e per secoli,
dopo la sua morte. La zona circostante è estremamente suggestiva;
gli isolati casolari, la profonda gola del torrente, le cascate
ed i piccoli laghetti naturali, il fitto bosco circostante, fanno
da cornice alle misteriose cavità della "buca" a cui si accede
difficilmente, muniti di funi, scarponi e torce elettriche. Una
puntuale descrizione dell'insieme si ritrova nella pubblicazione
di Giovanna Radi : "L'ingresso superiore è situato a quota 425
s.l.m. ed a 35 m. Sopra il greto del torrente: è costituito da
un'ampia apertura nel ripieno calcareo leggermente inclinato e
scende con decisa pendenza conducendo, verso nord, ad una sala
la cui volta presenta alcune marmitte inverse e, verso est-sud-est,
all'ingresso medio. Esso si apre a circa 15 metri sul torrente,
proprio nella parete verticale della gola, ed è formato da due
imboccature di cui una molto piccola, che si trovano in vicinanza
della cascata di circa 10 metri, che alimenta un piccolo lago".
L'altro ingresso si apre nella stessa parete della gola, al livello
del torrente, proprio sopra ad un secondo laghetto scavato nella
roccia. L'apertura è rotonda, verticale, inizialmente a forma
di camino che immette "attraverso uno stretto passaggio interrotto
da un brusco gradino di m.2,50 d'altezza, in ambiente a pianta
irregolare ovale lungo 18 m., largo otto e alto circa sette, denominato
'Sala degli scavi': in esso si sono rinvenuti materiali archeologici".
I lavori furono effettuati nel 1973 a cura della Soprintendenza
di Firenze per organizzare il recupero dell'abbondante materiale
smosso dagli scavi clandestini (realizzati per cercare un fantomatico
tesoro romano). Furono trovati numerosi frammenti di ceramica
lineare con vari motivi decorativi insieme con elementi dell'industria
ossea dell'età neolitica, oltre a numerosi frammenti dell'età
dei metalli. Furono rinvenute anche alcune monete romane e frammenti
di ceramica medievale. "Questa camera si restringe nella parte
opposta all'ingresso dove si trova uno stretto e basso cunicolo
che si snoda verso nord per alcune decine di metri e, da una parte,
la mette in comunicazione con la "Sala del Trono", dall'altra
la raccorda, attraverso una strettoia, un pozzo alto 6 m. ed un
lungo passaggio stretto e contorto all'ambiente che immette sugli
ingressi medio e superiore." Altri cunicoli portano alla "Sala
del Trono", così detta per la forma che assumono varie stalagmiti
e alla "Sala del Lago fossile". Si apre poi un'altra grotta, detta
"Sala dei Pipistrelli" con una volta conica molto bella cui sono
attaccati centinaio di pipistrelli. Come accennato, il nome del
luogo è legato a Giovanni Benincasa, eremita vissuto intorno al
1400 che passò più di venti anni in queste grotte. Le prime notizie
scritte sul Benincasa risalgono al 1495 ma spesso i nomi e le
date a lui riferite sono discordanti. Secondo la ricostruzione
più accreditata , nacque a Montepulciano nel 1375 e, religioso
con forte vocazione alla vita eremitica, si trasferì nell'eremo
di Bagni S. Filippo (vedi capitolo "La Grotta del Santo"). Qui
rimase pochi mesi per stabilirsi nei pressi di Monticchiello dove
la compagnia dei Servi di Maria aveva dei terreni in prossimità
delle grotte. Vi rimase vent'anni, alloggiato nella parte superiore
dove una croce di ferro ricorda oggi la sua antica presenza. Vi
morì il 9 maggio del 1926. Le vicende storiche legate alla sua
salma ebbero una lunghissima eco nei secoli successivi; vari vescovi
e conventi si contesero le spoglie del Beato contro la volontà
dei monticchiellesi che ne impedirono a lungo il trasferimento
dal borgo. Nel 1494 fu appositamente costruito un convento accanto
alla Chiesa di S. Martino mentre più tardi, una magnifica urna
ne conservò le ossa nella chiesa di S. Leonardo. Rimossa di nascosto
nel 1743 dal Vescovo Francesco Maria Piccolomini fu definitivamente
restituita nel 1832. Le vicende storiche si intrecciano con la
tradizione popolare; riconosciuto come una dei più grandi taumaturghi
tra i santi del suo Ordine, gli furono attribuiti molti miracoli
durante il processo di beatificazione; nel 1829 la Sacra Congregazione
dei Riti ne approvò il culto pubblico, L'Ufficio e la Messa propri,
dedicandogli un altare nella cattedrale della SS. Annunziata in
Firenze. La tradizione popolare individua il suo giaciglio all'interno
delle grotte (Letto del Beato) e attribuisce a lui l'apparizione
delle "Orme del Diavolo", impronte di quadrupede rimaste impresse
nelle rocce soprastanti la grotta quando il Beato, per sfuggire
al Diavolo, spiccò con la sua cavalcatura un enorme salto, attraversando
la gola. Il luogo è ancora visitabile e pressoché intatto; la
cascata, il bosco e le suggestive grotte ne fanno un'ambita meta
per gli amanti delle passeggiate all'aperto.
U.B.
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